Capo Verde chiama: una vigna e una cantina cercano un enologo
di Aldo Lorenzoni e Luigino Bertolazzi
Capo Verde è un arcipelago di origine vulcanica formato da dieci isole, di cui nove abitate, di circa 4000 chilometri quadrati di superficie. Queste isole sono localizzate nell’oceano Atlantico a 455 chilometri dalla costa occidentale africana. Capo Verde è diventata indipendente dal Portogallo nel 1975 e ha come capitale Praia che si trova sull’isola di Santiago.
Il sistema agricolo capoverdiano può contare solo su un decimo di superficie coltivabile condizionata peraltro da un clima imprevedibile e siccitoso.
L’isola di Fogo o Djarfogo fu scoperta nel 1460, è interamente vulcanica con una forma pressoché circolare situata a ovest di Santiago con una superficie di 476 chilometri quadrati e rappresenta quasi il 12% della superficie nazionale. Il vulcano che la caratterizza è alto 2829 metri con una base a Chã Das Caldeiras di circa 8 chilometri di diametro. L’isola è amministrativamente divisa in tre comuni: Sao Felipe, Mosteiros e Santa Caterina. Il clima può definirsi tropicale secco ma ritroviamo microclimi diversi a seconda dell’altitudine e dell’esposizione ai venti. Le aziende agricole, prevalentemente a conduzione famigliare, sono molto parcellizzate con superfici medie da 1 a 2 ettari. Qui caffè e uva costituiscono le fonti di reddito principali.
La coltivazione della vite risale al sedicesimo secolo e fu introdotta dai portoghesi un po’ su tutte le isole ma è sull’isola di Fogo che ha trovato la massima espansione grazie alle sue caratteristiche pedo-ambientali. Per la verità a causa di regimi protezionistici del governo portoghese ne fu vietata la coltivazione per un lungo periodo. Solo dai primi anni del Novecento la vite torna protagonista sull’isola a partire dalle terre alte del cratere vulcanico di Chã per poi estendersi anche negli altri comuni. Dal 1984 questo rinascimento è stato supportato da un programma di cooperazione tedesco che ha fornito assistenza tecnica e attrezzature per la vinificazione. Dal 1998 uno specifico programma del ministero dell’Agricoltura di Capo Verde, sostenuto dalla cooperazione italiana e dall’Ong Cospe, ha permesso ulteriore sviluppo della vitivinicoltura in una prospettiva di produzione cooperativa facendo nascere due diverse realtà, una sulla caldera con il nome di Chã ed una a Mosteiros con il nome di Sodade.
La viticoltura sull’isola
La superficie a vigna oggi stimata sull’isola è di oltre 500 ettari ed è in progressiva espansione con una densità media nei vigneti tradizionali di 400-500 piante ad ettaro. L’età media dei vigneti dopo la disastrosa eruzione del 1995, che ha sepolto nella caldera di Chã molti appezzamenti, è passata da 100 a 20 anni. Le varietà più coltivate sono la Presa Tradicional o Baboso e Sabro entrambe di origine portoghese ma non mancano soprattutto negli impianti più recenti varietà francesi ed italiane.
La produzione media complessiva è di oltre 3.000 ettolitri di vino annuo. Le moderne tecnologie introdotte e la nuova organizzazione aziendale hanno di fatto migliorato molto la qualità dei vini oggi riconosciuta anche a livello internazionale. I vini di Fogo sono molto apprezzati sul mercato interno soprattutto nelle isole più interessate al turismo, dopo una naturale flessione dovuta alla pandemia oggi le vendite sono in forte ripresa in alberghi, ristoranti e supermercati, una piccola parte viene esporta principalmente in Belgio e Stati Uniti.
Nel 2018 è stata anche riconosciuta ufficialmente dal governo la denominazione “Fogo” e successivamente l’associazione dei produttori dell’Isola di Fogo che agiscono come un consorzio per la tutela e la promozione della denominazione.
Se a Mosteiros, a Santa Caterina e Chã Das Caldeiras, grazie alle sorgenti e ai loro microclimi le condizioni di coltivazione sono più agevoli l’area di San Felipe soffre più facilmente il problema della siccità con piogge che arrivano a volte solo in settembre od ottobre.
A Mosteiros ed a Chã le forme di allevamento della vite sono l’alberello spesso con le singole vigne piantate in buche larghe e profonde per difendere la produzione dal vento, diversa la situazione a San Felipe dove i vigneti si trovano tra i 570 ed i 900 metri di altitudine, il suolo è molto minerale ma povero in argilla e in sostanza organica e ciò crea qualche problema nelle annate siccitose o dove non si può irrigare.
Qui le vigne sono gestite su filari con cordoni speronati, in condizioni ottimali la vendemmia potrebbe avvenire due volte all’anno di solito in luglio e dicembre. Va altresì sottolineato che a San Felipe non c’è dormienza della vite, che continua la fase vegetativa a foglia sempre verde, il ciclo vegetativo non si chiude mai proprio a causa della mancanza del freddo e della costante temperatura.
La vigna Maria Chavez
La Vigna (Viinha) Maria Chavez (nome che identifica la località sulla mappa) è stata immaginata inizialmente da Padre Ottavio Fasano per dare possibilità di sviluppo e lavoro a una zona non particolarmente fortunata dell’Isola. Il vigneto di circa 23 ettari viene realizzato tra il 2006 ed il 2010 in un terreno che il governo capoverdiano ha donato, per questo scopo, all’Amses Onlus in uso gratuito per 50 anni. Il vigneto si sviluppa su un’area complessiva di 36 ettari di superficie e va dai 652 ai 920 metri sul livello del mare.
Le varietà e il sistema di allevamento
È diviso in 14 parcelle dove inizialmente sono state piantate le seguenti varietà: Chardonnay, Aleatico, Zibibbo, Italia, Regina, Sultanina, Cardinal, Cabernet Sauvignon, Manzoni Bianco, Pinot Grigio, Traminer, Tempranillo, Ancellotta e Merlot per complessivamente 100.000 barbatelle. Successivamente, nel 2014, alcune varietà sono state sostituite con Ansonica, Ancellotta, Catarratto, Inzolia, Pinot Nero e Touriga Nazionale. Il sistema di allevamento è organizzato in filari con sesto di impianto 2,5 x 0,8 con 12 ettari a cordone speronato e 13 a cordone libero, con un ettaro riservato alle uve da tavola ed il resto a quelle da vino.
Il vigneto è anche dotato di un impianto irriguo collegato all’acquedotto per irrigazione goccia a goccia ed una vasca di 500 mc collocata a 950 m slm per situazioni di emergenza.
Fino al 2016 il vigneto, pur in un contesto climatico particolare, ha vegetato regolarmente. Negli anni successivi la carenza idrica ha determinato tutta una serie di emergenze costringendo i responsabili a dividere l’azienda in due settori per ottimizzare le risorse idriche e logistiche.
Il perdurare di queste difficoltà ha determinato in primis una significativa moria di piante. Abbiamo oggi parcelle con fallanze che vanno dal 10 al 30% e parcelle come l’ettaro delle uve da tavola sostanzialmente perso.
La carenza di acqua e le particolari condizioni climatiche, che non consentono alla pianta una stasi vegetativa hanno portato il vigneto in una situazione precaria che richiede urgenti interventi per il ripristino di una produzione sufficiente. Dal punto di vista fitoiatrico abbiamo una particolare sensibilità all’oidio che abbisogna di una particolare e professionale difesa.
Si tratta quindi oggi di risolvere le principali emergenze, in particolare la carenza di acqua, e di adottare le corrette tecniche colturali per la gestione di un vigneto in ambiente climatico tropicale proprio per tutelare non solo questo incredibile investimento ma anche la cantina di Monte Barro creata proprio per valorizzare al meglio le uve della vigna Maria Chavez.
La Cantina di Monte Barro
Contestualmente alla messa a dimora delle barbatelle è stata progettata e costruita la cantina per poter ricevere trasformare e condizionare le uve prodotte dal sito viticolo di Maria Chavez. Si tratta, molto probabilmente, della struttura enologica più bella e funzionale dell’intera Africa centro-orientale, sita proprio in località Monte Barro da cui prende il nome, appena fuori l’abitato di San Felipe, in posizione panoramica a un paio di chilometri dal vigneto. La struttura molto razionale ha muri perimetrali sui quali poggia un tetto in profilati in ferro isolato termicamente sia superiormente che nella parte del soffitto. Tutte le lavorazioni si svolgono su di un unico piano, senza cambio di quota.
L’intera progettazione tecnica della cantina prevedeva a regime un potenziale di lavorazione di ca. 2000 quintali di uva. L’energia elettrica è quasi interamente fornita, da un impianto fotovoltaico. La capacità di cantina è fatta di serbatoi da 100 hl, 50 hl e 25 hl per la conservazione collegati al circuito di refrigerazione con vinificatori per il rosso da 50 hl e da 25 hl. Il ricevimento uve, raccolta in casse a mano, si compone di una vasca a coclea che convoglia l’uva in una pigiadiraspatrice con trasferimento alla pressa pneumatica per la pressatura soffice. Il collegamento di tutti i serbatoi con una centrale frigo consente tutte le operazioni di cantina che necessitano di freddo: decantazione statica del mosto, controllo della temperatura di fermentazione, stabilizzazione a freddo dei vini per l’imbottigliamento e controllo della temperatura di conservazione dei vini. Un filtro rotativo di piccola dimensione (3 mq) viene usato per recuperare i fondi di decantazione dei mosti. Due autoclavi da 50 hl completano la dotazione in capacità, questo per poter produrre vini frizzanti, molto richiesti in Capoverde. Sono naturalmente presenti pompe per il trasferimento pigiato e del vino, compresi idropulitrici sia a freddo che a caldo.
Per il confezionamento del vino è presente una linea completa di imbottigliamento a basso vuoto, con sciacquatrice, imbottigliatrice, capsulatrice ed etichettatrice con sistemi filtranti a cartucce di varia porosità. La barricaia comprende 54 barrique ed è posta in locale a temperatura controllata, cosi come il magazzino per la conservazione del prodotto imbottigliato. A completare il ciclo, un impianto a bagno maria per la distillazione delle vinacce fermentate, completo di tutti gli accessori e perfettamente funzionante ed un laboratorio provvisto dell’attrezzatura sufficiente per le analisi base di cantina.
L’appello di solidarietà fatto ad Assoenologi
Il vigneto e la cantina sono oggi il fiore all’occhiello del lavoro di Padre Fasano tanto che la sua produzione viene premiata in qualità dal Cervim. Purtroppo, la pandemia e un turn over sfavorevole hanno fatto da freno al lavoro in vigneto e cantina. Ora Padre Ottavio che ha 85 primavere, sente il bisogno di chiedere aiuto ad Assoenologi. L’appello è rivolto a chi volesse cogliere l’occasione di fare un’opera di solidarietà godendo della giusta remunerazione, dell’accoglienza della Casa del Sol e del clima dell’isola di Fogo, anche per periodi ben delimitati (vendemmia e imbottigliamento) o per tutto il tempo che riterrà opportuno.
L’azienda ha personale formato e nell’ultimo periodo presso la cantina Monte Barro ha operato un corso biennale per operatori del vigneto e della cantina. Questo appello di padre Ottavio vuole dare alle attività del vigneto e della cantina nuova efficienza in grado di sviluppare le risorse necessarie per completare un’opera alla quale tiene in modo particolare ovvero l’Hospice che è in fase avanzata di costruzione perché i poveri malati possano essere accompagnati senza sofferenza. Si tratta di ripetere il miracolo di Canaa di Galilea, in questo caso produrre l’uva che trasformata in vino, può ridare forza alla attività virtuosa che ha sempre mosso la sua opera di catechesi e aiuto.
Il frate che produce vino. La storia del riscatto di un territorio
Nato a Racconigi in provincia di Cuneo nel 1936, ordinato sacerdote nel 1962 nell’ordine dei Frati Capuccini. I Capuccini del Piemonte avevano avviato, già trent’anni prima dell’ordinazione di Ottavio, l’opera di evangelizzazione nell’arcipelago di Capoverde. Il giovane frate viene inviato dai superiori, nel 1965, a Capoverde come responsabile dell’ordine per assistere i confratelli. Arrivato sul posto sbarca a Fogo, isola molto povera del gruppo delle sottovento, dove è presente un vulcano ancora attivo, il Pico do Fogo. Ottavio si occupa fin da subito dell’opera di evangelizzazione ma non trascura quello che per lui è un passaggio essenziale per togliere le popolazioni dalla mala pianta dell’assistenzialismo, che lui considera un aspetto deteriore della carità. Per sviluppare e rendere autonome le popolazioni locali padre Ottavio si immagina un percorso a tappe che lui intraprendente e mette in campo. In primo luogo, l’istruzione con asili e scuole, la salute con l’apertura di consultori e la costruzione di un vero ospedale come Il San Francesco di Assisi che dona alla sanità Capoverdiana. C’è da pensare all’assistenza con case di riposo per i non abbienti e case famiglia per le ragazze madri, ma non mancano opere fatte appositamente per dare indipendenza economica e autonomia decisionale ai capoverdiani attraverso il turismo con la costruzione del villaggio turistico Casa del Sol, una struttura costruita sulla scogliera affacciata all’oceano, munita di tutti i confort. Crea quindi anche l’auditorium padre Gottin per i momenti creativi legati alla musica e al canto e una radio che ancora trasmette in tutto l’arcipelago. Un preciso aiuto ai pescatori che operano ancora in modo quasi primitivo, viene con la costruzione della casa del pesce per la conservazione del pescato e di appoggio alle necessità logistiche dei poveri pescatori, qui il mare è molto pescoso e di questo ne approfittano i grossi pescherecci stranieri. Sull’isola di Fogo, a 1500 metri sul mare nella vecchia caldera del vulcano, vi è però una viticoltura portata dai colonizzatori Portoghesi che opera producendo vini taluni veramente buoni, altri tipo il Manecom di tipo famigliare. È in questo settore che Padre Ottavio vede la possibilità di un riscatto economico, anche pensando agli sbocchi di mercato presenti sull’isola di Sal famosa per i villaggi turistici in Capoverde.