A Giuseppe Cerasa il Premio comunicazione di Assoenologi
di Paolo Brogioni
Giuseppe Cerasa nasce in Sicilia nel 1954. A 23 anni diventa professionista, lavorando per il quotidiano L’Ora di Palermo, dove fa una dura gavetta occupandosi di politica, di economia, di mafia, di cronaca giudiziaria, bianca e nera, fino a diventare capo della Cronaca. Nel 1987 viene assunto dal quotidiano la Repubblica, diretto da Eugenio Scalfari. Per dieci anni lavora in cronaca nazionale passando da redattore ordinario a vicecapo redattore. Nel 1999 Ezio Mauro lo invita a dirigere la Cronaca di Roma, incarico che mantiene per diciotto anni. Dal 2016 diventa direttore delle Guide di Repubblica dedicate ai piaceri e ai sapori d’Italia. Nel giugno del 2018 è stato insignito all’Università La Sapienza di Roma della laurea honoris causa in Giornalismo e comunicazione multimediale. Per la sua dedizione, passione e impegno profusi nel dare impulso e valorizzazione al vino italiano, Assoenologi gli ha attribuito il Premio Comunicazione.
Cosa ti ha portato a passare dal giornalismo di cronaca a quello di turismo ed enogastronomia?
È stata un’evoluzione quasi naturale perché, dirigendo la cronaca di Roma per la Repubblica, necessariamente i riflettori puntavano sui settori del turismo e dell’enogastronomia, sul meglio che può produrre una città capitale in questo ambito. Inizialmente quindi, si è trattato di una valorizzazione di materiali prodotti per la cronaca. Poi, poco alla volta, partendo dalla capitale, siamo andati a conquistare i territori circostanti come l’Umbria, la Campania, l’Abruzzo e la Toscana. Quindi, mano a mano, ci siamo allargati fino a diventare le “Guide di Repubblica”, che oggi coprono tutta l’Italia, non solo in chiave regionale ma anche metropolitana e territoriale. In oltre 20 anni di lavoro, le Guide si compongono di quasi dieci collane dedicate, non solo alle regioni, ma anche alle grandi città, ai borghi, ai territori del vino, ai parchi, al mare, alle campagne, ai quartieri delle grandi città, fino alle recenti “Maxime”: Milano Maxima, Roma Maxima, Torino Maxima e, per fine 2021, Venezia Maxima. Guide di eccellenze, che raccontano cosa c’è da vedere di esclusivo e di originale in queste grandi città. Questo è il nostro parco di lavoro che finora è riuscito conquistare una fetta importantissima di mercato. Lettori ormai consolidati che aspettano l’uscita delle Guide da aggiungere alle collezioni presenti nelle loro librerie.
Da cosa è nata l’idea di realizzare le Guide d’Italia di Repubblica e quante ne sono state prodotte fino ad oggi?
L’idea nasce dalla necessità di valorizzare il bello del nostro Paese, dove c’è tanto da raccontare. Soprattutto in questo particolare periodo condizionato dal Covid, in cui si è riscoperta la vacanza in prossimità, in solitaria e in sicurezza, le nostre Guide sono un valido aiuto.
L’ultimo format delle nostre guide prevede racconti, storytelling e personaggi che esaltano i territori. Tutto ciò con il corollario importante, anche se non esclusivo, dei ristoranti, delle botteghe e degli hotel di charme, che diventano un complemento della parte più originale delle guide che è quella della riscoperta dei territori. Queste guide, nell’ultimo anno, hanno registrato un aumento di vendita di oltre il 20%. Ciò dimostra che non è vero che l’editoria di carta è morta, bisogna solo saperla fare bene, bisogna saper conquistare il pubblico e i nostri dati dimostrano che la qualità premia se vai incontro alle esigenze e alla curiosità dei lettori.
Da quando sono nate le Guide di Repubblica, quindi da circa 20 anni, ne sono state pubblicate circa 600, in vari ambiti d’Italia, dai grandi modelli nazionali alle piccole realtà del Belpaese.
Come nasce una guida e cosa ne determina il successo?
Noi andiamo alla ricerca di cose, argomenti, ma soprattutto persone, che raramente riescono a venire alla ribalta. Persone comuni, che lavorano in silenzio e che difficilmente riuscirebbero a farsi conoscere. Noi, con le nostre guide, le accompagniamo nei loro percorsi e cerchiamo di amplificarne le specificità. La ribalta infatti è spesso fatta di star, che non hanno bisogno di notorietà. Noi diamo invece voce alle persone comuni, artigiani, giovani, agricoltori, ecc. che hanno tanto da dire, ma che vanno aiutate a crescere.
Come entra il vino nelle tue Guide?
Il vino entra nelle nostre guide in maniera importante. Quasi ogni guida, soprattutto quelle regionali, ha una sezione dedicata al vino. Inizialmente si trattava dei migliori produttori di quel territorio. Poi abbiamo iniziato a differenziare il nostro racconto, scegliendo non tanto gli ambiti regionali, quanto i personaggi. Partendo dai giovani viticoltori, siamo arrivati alle donne del vino, a cui abbiamo dedicato un’intera guida di oltre 400 pagine, in cui sono selezionate quasi 200 donne protagoniste del mondo enologico italiano. Una guida presentata anche a Vinitaly, che ha avuto un enorme successo.
Poi abbiamo pensato di dedicarci ai vitigni dei territori e ai consorzi. Vini di Montepulciano d’Abruzzo, il Nobile di Montepulciano, i vini del Sannio, il Morellino di Scansano, i vini di Roma Doc e così via. In cantiere abbiamo i vini di Puglia, il Cesanese e la Franciacorta.
Da comunicatore e conoscitore dei territori vinicoli italiani, cosa dovrebbe fare il settore secondo te per migliorare la comunicazione e la cultura del vino? E, in un’epoca di globalizzazione e di agguerriti competitor internazionali, come possiamo convincere il resto del mondo a bere italiano?
Secondo me la risposta è unica: si può vendere bene il proprio vino se si vende bene il proprio territorio. Il vino è un prodotto d’eccellenza, una carta d’identità dell’Italia, che, assieme alla moda, alla manifattura, all’artigianato e ad altri prodotti della gastronomia, rappresenta al meglio il nostro Paese. Più un vino è identitario e meno internazionale, più è legato al territorio e così diventa esclusivo. Occorre puntare sulla identità dell’Italia e dei suoi molteplici territori, soprattutto in questo momento in cui l’Italia – e lo vediamo anche dallo strepitoso successo del recente G20 – ha acquisito una centralità nel mondo che gli permette di far conoscere meglio i suoi prodotti d’eccellenza: il vino è una di queste perle.
Dopo il lockdown, che ha portato alla crisi della ristorazione, come può ripartire il settore?
Credo che il lockdown abbia fatto piazza pulita delle aziende improvvisate, dove l’architetto diventava ristoratore o l’avvocato che aveva soldi da investire lo faceva aprendo una trattoria. Il ristoratore vero, quello che lo fa per mestiere, per vivere, è stato certamente il più penalizzato, ma se è riuscito a tenere duro e a stringere i denti mantenendo il proprio personale, ora sarà premiato.
Secondo me la ristorazione deve ritrovare la sua personalità. Perché le identità del territorio italiano sono molto diversificate da zona a zona. Occorre riappropriarsi del meglio della tradizione e della cultura gastronomica del proprio territorio per riproporla, eventualmente migliorandola. Il successo di un locale lo decretano i clienti, con o senza stelle o medaglie. Più i locali hanno identità territoriale e più la ristorazione post Covid avrà la possibilità di avere successo.
Quali sono i criteri da te adottati nella scelta dei vini da inserire nelle tue guide?
Io non dirigo guide generaliste, che hanno la pretesa di raccontare tutti i segreti delle aziende vinicole italiane. Per fare questo già ci sono delle ottime proposte. Noi invece abbiamo l’ambizione di proporre delle novità, di selezionare dei generi, di raccontare le storie di chi si affaccia nel mondo del vino, dando la speranza di un nuovo sviluppo, soprattutto per i giovani imprenditori. Questa è la chiave di distinzione che ci caratterizza. E devo dire che nel vino c’è tanto da raccontare, sono tanti i personaggi, anche sconosciuti, che bisognerebbe valorizzare. Noi ci siamo anche per questo, per dare una mano a chi ha le qualità per essere tirato fuori e deve essere aiutato ad emergere in un mondo molto difficile e competitivo.
Assoenologi ti ha dedicato il premio Comunicazione 2022. Come dovrebbe entrare l’enologo nella comunicazione del vino?
Secondo me quello dell’enologo finora è stato un mestiere sottovalutato. L’enologo è il re della cantina, mentre sembra che in questo momento valga più il marketing che il suo lavoro. L’enologo è una figura chiave, in grado di creare, partendo dalla qualità del vino, un prodotto che coincida con le richieste del mercato. Una figura che secondo me va messa al centro del sistema produttivo, che molto spesso è tiranno, perché l’enologo spesso lavora in silenzio, nell’ombra, occupandosi di problematiche tecniche e fuori dalla portata dei riflettori. L’enologo deve mettersi più in mostra valorizzando il proprio lavoro che è fondamentale per un prodotto che è la punta di diamante del made in Italy nel mondo. Un ruolo, quello dell’enologo, che bisogna difendere e valorizzare. E, sotto questo aspetto, i francesi insegnano.