Assoenologi nomina il Senatore Dario Stefàno personaggio dell’anno

di Riccardo Cotarella

 

Al fianco di Assoenologi da tantissimi anni, soprattutto a partire dalla sua carica di assessore alle Risorse agroalimentari della Regione Puglia, Dario Stefàno si è sempre contraddistinto per la passione e il grande amore per la sua terra, per il vino e per il grande patrimonio di arte, tradizioni, cultura e civiltà che rappresenta.
Una passione che, lungi dal limitarsi alla sola Puglia, si è allargata a tutto il territorio nazionale. Da qui molti dei progetti che ha portato, e sta portando avanti anche in qualità di Senatore della Repubblica Italiana, nonché Presidente della 14a Commissione permanente – Politiche dell’Unione Europea.
Sue le proposte di legge per introdurre l’insegnamento di Storia e cultura del vino nelle scuole e per l’Ordinamento della professione di enologo e della professione di enotecnico. È il padre, poi, delle norme che hanno introdotto la disciplina delle attività di enoturismo e di oleoturismo nel nostro ordinamento.
Stefàno, prima di intraprendere il percorso parlamentare, era impegnato come docente di economia presso la Scuola di specializzazione in discipline legali e nel corso di laurea in Scienze Ambientali di Unisalento. Manager di importanti realtà imprenditoriali e produttive, a lungo impegnato nella presidenza della Associazione industriali di Lecce e componente di Giunta di Confindustria Puglia; oggi è anche vicepresidente della Fondazione Italia Usa.
Per il suo impegno, anche parlamentare, sui temi dell’agricoltura e del vino italiano Assoenologi lo ha nominato personaggio dell’anno 2022.

 

Caro senatore, il tuo impegno sulla promozione della cultura del vino ha portato alla normativa sull’Enoturismo che si sta consolidando come strumento di indubbio valore. Quali sono i riscontri dopo questo primo periodo di applicazione della legge?

Si tratta di una legge voluta, scritta, emendata insieme a tutto il sistema che ruota attorno all’enoturismo, che oggi è composito. Un tempo c’erano le Regioni “pioniere” su questo fronte, a cui va riconosciuto il merito di aver lavorato anche in condizioni di difficoltà, oggettive e di sistema, facendo attecchire anche nel nostro Paese ciò che altrove è, già da molto tempo, volano di sviluppo e crescita delle imprese e dei territori. Oggi, con la legge, abbiamo consegnato a tutti i territori l’opportunità di operare in un quadro normativo – che prima non c’era – finalmente chiaro e omogeneo, da Nord a Sud del Paese, proprio perché il principale obiettivo del legislatore era ed è quello di raggiungere ovunque alti standard qualitativi nell’offerta di servizi ed esperienze agli enoturisti, che non solo crescono di numero di anno in anno, ma mutano nelle aspettative, nel profilo e nelle esigenze. Le cantine, i produttori, gli artigiani del vino hanno messo in moto una incredibile verve creativa, perché hanno compreso le potenzialità del turismo legato all’universo del vino. Peccato solo che le Regioni che hanno già recepito la norma, che peraltro necessita di una mera presa d’atto, siano solo ancora undici. E questo, oggettivamente, limita il protagonismo dei produttori.

 

Assoenologi quest’anno festeggerà i suoi 130 di organizzazione associativa. Tu, che ben conosci il mondo del vino, che analisi puoi fare sul ruolo dei tecnici del settore vitivinicolo, gli enologi e gli enotecnici, e sul successo del vino italiano?

Negli ultimi vent’anni c’è stato un generale cambiamento di sensibilità nel settore, nei produttori, nei consumatori e anche nei tecnici. C’è stata una crescita diffusa e una comprensione sempre più chiara e matura del valore del vino quale emblema di un territorio che è comprensivo di tante cose: paesaggio, arte, storia, cultura, valori, tradizioni. Ma anche del valore che il contributo tecnico professionale di enologi ed enotecnici con il loro prezioso lavoro hanno saputo assicurare consentendo di agganciare il giusto equilibrio tra tecnica, contesto e terroir, con tutto quello che questo termine racchiude in sé. È chiaro a tutti ormai come il ruolo degli enologi e degli enotecnici sia stato ed è essenziale per il successo del vino italiano.

 

Quest’anno sono anche 30 anni dall’ approvazione della legge 129/1991 sul titolo di Enologo, che tanto ha voluto dire sulla formazione e sulla professionalità dei tecnici. All’interno della stessa Assoenologi è in corso un approfondimento sui vari percorsi formativi e su quali siano le competenze necessarie per mantenere un adeguato standard qualitativo del settore. Qual è la tua opinione in merito ad una possibile revisione della normativa specifica sui titoli di Enologo e di Enotecnico?

Trent’anni, con la velocità dei cambiamenti che viviamo, equivalgono ad un’era. Sono tanti i mutamenti che si sono verificati, nella società in generale e nel settore enoico nello specifico, che richiedono senza dubbio un aggiornamento anche nella declaratoria delle competenze delle attività svolte da enologi ed enotecnici anche in ragione dell’evoluzione organizzativa, tecnologica e qualitativa del settore. Tutto ciò chiama noi legislatori alla responsabilità di ridefinire un quadro di disciplina normativa più attuale e maggiormente rispondente al ruolo e alle specificità professionali che ha assunto nel settore.

 

Stiamo ripartendo dopo il periodo di stallo imposto dall’emergenza sanitaria e il PNRR rappresenterà la grande opportunità per il nostro Paese. Quali priorità vedi come obbiettivi strategici su cui concentrarsi?

Il PNNR è la più grande opportunità di ripresa per il Paese e abbiamo l’obbligo di non sciupare nessuna delle risorse a disposizione. Abbiamo la possibilità concreta di riscrivere la storia del futuro dei nostri territori. Dico di più: non ci sono solo i 235 miliardi di euro del Next Gen, che già sono una cifra eccezionale, ma ci sono anche altri fondi rispetto ai quali dobbiamo avere la capacità di attingere. Faccio riferimento ai 55 miliardi di euro per la coesione, oppure agli ulteriori 50 miliardi di euro del Fondo sociale che prevede l’80% delle risorse da destinare al Mezzogiorno. Spero davvero che si riesca a cogliere quella che è una straordinaria opportunità, e resto fiducioso: l’Italia nei momenti particolarmente duri ha sempre dimostrato una grande capacità di coesione e visione d’insieme, ed è quello che occorre per affrontare e superare questo momento storico.

 

L’altro elemento fondamentale per il nostro Paese sono i rapporti a livello comunitario. Conosciamo la tua sensibilità su questo aspetto. Cosa prevede la tua agenda politica per il prossimo anno?

La mia agenda, anche come Presidente della Commissione politiche europee, seguirà certamente con attenzione l’attuazione della riforma della Politica agricola comune 2021-2027, che sarà senz’altro più verde ma anche con una maggiore attenzione ai diritti dei lavoratori. Una delle priorità sarà la preparazione dei piani strategici nazionali, prevedendo semmai una semplificazione della procedura, limitando la loro azione all’inquadramento generale degli interventi per poi lasciare ai livelli regionali il compito di definirne gli aspetti di dettaglio. Ma la riforma della Pac presenta anche novità rilevanti che in alcuni casi si traducono anche in vere e proprie sfide rilevanti per il settore vitivinicolo.
Al vino europeo andranno 1,1 miliardi annui e l’Italia sarà la prima beneficiaria con 323,88 milioni, con la previsione di destinare almeno il 5% dei fondi su temi green.
Potremo poi avere il supporto per attività promozionali nei Paesi terzi. Verrà esteso al 2045 il sistema di autorizzazioni all’impianto per le viti, rispetto all’attuale scadenza del 2030. Sono previste, poi, alcune agevolazioni per la riconversione dei diritti di impianto e per l’identificazione e riconoscimento di una Dop.
Dovremo concentrarci di più nell’indirizzare in modo chiaro gli impegni per la trasparenza del settore vitivinicolo verso i consumatori, poiché l’etichettatura nutrizionale che si prevede di inserire non dovrà in alcun modo tradursi in una moderna gogna del vino.
Anche sulla dealcolazione, dovremo essere attenti e accorti perché si tratta di un processo rispetto al quale permangono grandi criticità non solo legate all’espressione storico culturale del vino stesso, e della sua identità, ma anche dal punto di vista meramente produttivo di questo prodotto, per cui anche l’eventuale autorizzazione prevista per la lavorazione solo dei vini da tavola deve essere profondamente ragionata e ponderata.
Non bastano affatto le raccomandazioni oggi sul tavolo relative alla sola parziale dealcolazione dei vini Dop e Igp, così come la rassicurazione relativa all’indicazione chiara in etichetta che si tratta di vini dealcolati. Il vino è tale in quanto bevanda alcolica, tutto il resto lo si chiami in altra maniera e non lo si associ proprio a quella che è e deve rimanere una delle più antiche espressioni dell’ingegno umano.