La cultura italiana del bere vino diventi patrimonio dell’Europa

di Riccardo Cotarella

Vino è arte, storia, tradizione e soprattutto cultura che ora non ci resta che esportare nel mondo con amore e passione. Detta così sembra l’inizio di una pagina del libro cuore, invece è la sintesi di un pensiero maturato dopo settimane di aspre e contrapposte polemiche suscitate sul tema vino e salute. Quanto emerso dalla due giorni di Napoli, e cioè che il bere moderato fa bene alla salute, lo trovate in questo numero de l’Enologo. Adesso il nostro ragionamento deve andare oltre, deve valicare i confini nazionali. Dobbiamo raggiungere quei Paesi che per ragioni varie – spesso per interessi di parte – demonizzano il nostro vino. Continuare una contrapposizione dialettica, come abbiamo fatto fino a oggi non è più sufficiente ed è per questo che da queste righe lancio una proposta, in qualità di presidente di Assoenologi, che è quella di avviare una serie di incontri con esponenti di governo e associazioni di settore di quelle nazioni più avverse, ovviamente con il supporto e la vicinanza del nostro Esecutivo e magari delle ambasciate.
Prossimamente, dopo l’intervento del nostro ministro degli Esteri Antonio Tajani, si terrà un incontro bilaterale tra i ministri italiani dell’Agricoltura e della Salute, rispettivamente Francesco Lollobrigida e Orazio Schillaci, con gli omologhi irlandesi per affrontare la questione delle etichettature allarmistiche proposte dal Paese del Nord Europa. Un primo passo che credo possa andare nella giusta direzione per avviare una nuova e più approfondita interlocuzione. Bene che lo facciano i ministri, ma credo che sia giunto il momento di farci anche noi attori protagonisti del mondo del vino, promotori di una serie di iniziative fuori dalla nostra Italia.

L’appello è rivolto a tutte le associazioni di categoria del Paese, ma vorrei estenderlo anche a tutti gli altri grandi produttori europei di vino, a iniziare da Francia, Spagna e Portogallo. E quindi anche all’Unione internazionale degli enologi. Per prima cosa dobbiamo far sentire la nostra voce a Bruxelles, sede di quell’Unione europea troppo spesso distratta o peggio ancora ammaliata da sirene incantatrici che finiscono per portarci a tavola la farina di grilli. Questa Europa è evidente che non difende e tantomeno promuove la nostra cultura enogastronomica. Probabilmente non conosce nemmeno il valore mondiale della dieta mediterranea. E ci si deve interrogare perché non la vuole prendere in considerazione. Ma al tempo stesso sostiene e rilancia qualsiasi iniziativa alimentare che sembri voler andare in contrasto con gli stili di vita italiani. Non oso nemmeno immaginare che possa esserci un disegno precostituito atto a danneggiare la nostra cultura a tavola, ma a scanso di equivoci è bene vigilare con grande attenzione. Anche per ostacolare eventuali altre ascese speculatorie. In gioco c’è un pezzo significativo della nostra economia e il futuro di quelle famiglie che da generazioni portano avanti la grande e splendida tradizione dell’agroalimentare. L’Unione europea non può continuare a fare orecchie da mercante, oggi chiediamo e pretendiamo un’attenzione diversa. È con questa convinzione che Assoenologi ancora una volta diventa capofila di una nuova iniziativa mossa da un desiderio: creare un’Europea del vino consapevole e moderata nel consumarlo o, meglio, ancora nel degustarlo. Sarà un processo sicuramente complesso che richiederà il contributo di tutti, ma realizzabile anche se avversato dai soliti noti. E cioè da coloro che, in nome di chissà quali tornaconti personali, continueranno a demonizzare il nostro mondo, proponendo quotidianamente falsità e fake news spacciandole per scienza.
Non glielo permetteremo e faremo in modo che anche la distratta Ue sia più attenta e benevola verso il nostro modo di stare a tavola, perché, per dirla con le parole di Anthelme Brillat-Savarin, “Un pasto senza vino è come un giorno senza sole”.